Travaux en progression

Riorganizzazione del lavoro e salute dei salariati. Risultati di un’inchiesta alla posta svizzera

Articolo pubblicato tra gli Atti della mattinata di studio del 23 gennaio 2010, la quale è stata organizzata dall’Associazione per la difesa del servizio pubblico (Canton Ticino) sul tema: « Pubblico e privato. Conseguenze della diversa natura giuridica su: qualità dei servizi, cittadini, impiego. »

Problematica[1]

La liberalizzazione dei servizi postali, il cui inizio risale alla fine degli anni ottanta[2], ha provocato sconvolgimenti di notevole importanza per le aziende del ramo. La produzione è stata riorganizzata secondo il paradigma della lean production, i tempi improduttivi sono stati ulteriormente ridotti mentre la gestione del personale è diventata più flessibile. La nostra inchiesta ha lo scopo di conoscere meglio l’impatto delle ristrutturazioni di un’ex regia federale – La Posta – sulla salute dei salariati e di valutare l’efficacia delle misure messe in atto dall’azienda per ridurre il rischio di malattie e infortuni.
Un centro di distribuzione postale della svizzera romanda nel quale lavoravano 365 impiegati costituisce il « terreno sociologico » dell’indagine. Le analisi sono centrate soprattutto sul lavoro dei postini e si basano su dati empirici quantitativi e qualitativi (cinque interviste effettuate con degli impiegati e un questionario anonimo al quale ha risposto il 51,8% del personale) raccolti durante il mese di febbraio 2009, cioè pochi mesi prima della diminuzione drastica del volume di invii postali a causa della crisi economica. La direzione della Posta ha collaborato alla ricerca rispettando tuttavia il suo carattere indipendente e universitario.

Intensificazione del lavoro

Nella distribuzione postale, il lavoro è stato organizzato in flusso teso secondo i principi della lean production applicati nell’industria a partire dagli anni 1970. Nessuna scorta è ammessa nella produzione ed ogni attività è cronometrata minuziosamente da uno scanner al fine di diminuire e di comprimere i tempi « improduttivi » (Durand, 2004). Il corriere deve essere distribuito imperativamente secondo i termini prescritti e ciò indipendentemente sia dalla forza lavoro disponibile che dagli imprevisti che possono turbare l’organizzazione. Il lavoro è dunque organizzato in modo tale da esercitare una pressione constante ed elevata sui lavoratori. Secondo una testimonianza, il carico di lavoro è quasi raddoppiato rispetto agli anni 1980, cioè prima delle ristrutturazioni che daranno luogo alla dissoluzione delle PTT in due imprese distinte (La Posta e Swisscom) alla fine del 1997.
Durante le nostre osservazioni abbiamo constatato che il lavoro dei postini è molto logorante: lo stress, la rapidità dei gesti, il peso da sollevare e l’esposizione alle intemperie sono il loro pane quotidiano. La giornata di lavoro è strutturata secondo le esigenze del loro giro di distribuzione (cf. riquadro in calce). A ciò si deve aggiungere che i postini sono tenuti a registrare l’inizio e la fine di ogni singola mansione (smistamento, distribuzione, pause, ecc.) in uno scanner che permette il trattamento informatico di queste informazioni. Le risposte date al questionario confermano le nostre impressioni: il ritmo di lavoro è infatti considerato rapido dal 46,4% dei postini, insostenibile dal 6,6% e normale solo per il 45,3%. La frequenza relativamente elevata di ore supplementari sono un altro indicatore della pressione esercitata dal carico di lavoro sull’attività: soltanto il 10% de personale interrogato non ne effettua mai, mentre il 38,3% lavora più di quanto dovuto tra una e tre volte al mese, il 38,8% tra una e tre volte alla settimana e l’8,9% tra quattro e sei alla settimana.
Una pressione eccessiva può degradare la qualità del lavoro, nella misura in cui gli impiegati non avrebbero né il tempo né i mezzi per lavorare correttamente (Daviezies, 2006). Nella nostra inchiesta è stato riscontrato che questo fenomeno è presente. Abbiamo preso conoscenza di postini che lavorano durante la pausa-pranzo (obbligatoria e non remunerata) al fine di recuperare il tempo perso e non essere in ritardo. Il 24% del personale afferma di aver già deciso di rinviare o trascurare la realizzazione di certi compiti per finire in tempo il lavoro. Vi è pure un altro fenomeno ben più preoccupante: il 64,8% dei salariati afferma aver già rinunciato (« passerà ») o rinviato (« aspetto ancora due o tre giorni ») una visita medica per paura di nuocere all’attività dei colleghi a causa della loro assenza. Non si tratta di casi isolati perché al 29,8% degli intervistati è successo una volta durante gli ultimi dodici mesi, al 26,4% due volte e al 36,4% almeno tre volte. Bisogna sapere infatti che il centro di distribuzione è strutturato attorno a gruppi (team) formati da 5 a 10 postini, i quali si suddividono equamente il carico di lavoro. Una proporzione non trascurabile di postini non oserebbe dunque mettersi in malattia temendo di essere stigmatizzati dai colleghi tenuti a effettuare il lavoro al loro posto.
Secondo la nostra ipotesi, la pressione avrebbe creato una situazione contraddittoria: i salariati non oserebbero più mettersi in malattia per paura di essere accusati di abusare di un loro diritto, ma anche per solidarietà, cioè per non sovraccaricare di lavoro i colleghi restanti. Dalle interviste effettuate abbiamo dedotto che la pressione dell’attività e dei colleghi induce i salariati ad attuare due strategie. La prima è quella dell’assenteismo, la quale consiste ad essere assenti il giorno in cui si prevede un carico di lavoro più elevato del solito. Il tasso di assenza è infatti relativamente elevato nel centro di distribuzione preso in considerazione (il doppio rispetto alla media nazionale dell’azienda). La seconda è invece quella del presenteismo, che consiste a lavorare i giorni in cui si dovrebbe prendere un riposo forzato, evitando il rischio di aggravare uno stato di malattia.

Collettivi di lavoro

La cooperazione tra salariati è una caratterizza di ogni mestiere che costituisce una risorsa indispensabile per svolgere e realizzare con successo il proprio mestiere. Per questa ragione i collettivi di lavoro rivestono una funzione di mediazione indispensabile quando le ingiunzioni prescritte dal datore di lavoro sono contraddittorie. Può essere il caso, ad esempio, se la realizzazione del lavoro richiede di conciliare esigenze di produttività e di qualità, oppure quando la forza-lavoro disponibile non è sufficiente. Le situazioni di questo genere possono indurre i lavoratori a trasgredire certe regole per garantire lo svolgimento dell’attività professionale seguendo le norme o le regole informali condivise in seno al collettivo di lavoro (Clot, 2008; Thébaud-Mony, 2007).
A partire dagli anni ottanta assistiamo alla diffusione di un paradigma manageriale e una riorganizzazione della produzione che tende a individualizzare la gestione della manodopera e istituzionalizzare le forme di socializzazione delle maestranze (De Gaulejac, 2005; Linhart, 2004) Ad ogni lavoratore vengono infatti imposti obiettivi di produttività e di qualità (individuali e collettivi) mentre l’attività dei gruppi di lavoro organizzati dalla direzione aziendale prende il sopravvento su quella sindacale. Questo nuovo paradigma è suscettibile di destabilizzare i collettivi di lavoro, rendendoli incapaci di porsi come risorsa per  salariati confrontati all’intensificazione del lavoro.
Oltre a ciò, si assiste a un numero crescente di lavoratori interinali che ha, per via della durata del contratto di lavoro e dell’ammontare del salario, uno statuto subalterno rispetto ai colleghi con più anzianità. Nel centro di distribuzione postale che abbiamo studiato vi è infatti il 21,9% del personale che lavora da meno di anno: si tratta soprattutto di salariati assunti a tempo parziale (costituiscono l’86,3% rispetto a una media del 32,6%) la cui mansione è principalmente quella di effettuare una parte della distribuzione del corriere, costituendo così un supporto per i postini più anziani.
L’inchiesta ha messo in luce la solidità dei collettivi di lavoro poiché l’80,4% dei salariati afferma di poter richiedere l’aiuto dei colleghi in caso di difficoltà mentre solo il 16,4% può contare su una maggior forza-lavoro e il 12,7% sul sostegno dei superiori. Un altro indicatore è la via scelta per risolvere  difficoltà o tensioni nel proprio collettivo di lavoro: il 66,1% degli interrogati risolve i problemi direttamente con i propri colleghi e soltanto il 20,1% richiede un intervento esterno. A ciò si può aggiungere l’atteggiamento positivo dei superiori: per far fronte a situazioni di questo genere, i quadri consultano il personale interessato per il 57,3% degli impiegati; solo il 13,% ritiene che i superiori prendono decisioni autoritarie mentre il 5,1% non si è mai confrontato a tensioni o difficoltà.
Questi dati sono confortanti poiché mostrano che il collettivo di lavoro costituisce ancora una risorsa per i postini nonostante il numero crescente di interinali e la diffusione di un paradigma manageriale che promuove la dimensione individuale del lavoro a scapito di quella collettiva. Non si può tuttavia escludere che questa configurazione si degradi nel corso dei prossimi anni se il reclutamento di personale interinale proseguirà a scapito di quello stabile, in un contesto che sarà probabilmente marcato da profonda riorganizzazione del lavoro legata alla meccanizzazione dello smistamento delle lettere del giro di distribuzione, mansione eseguita tutt’oggi manualmente dai postini (La Posta Svizzera, Rapporto de gestione 2008).

Conflittualità

Una spiegazione della conflittualità che si può riscontrare in un’azienda è la natura del rapporto fra il lavoro salariato e il capitale. Nel rispetto delle leggi e delle usanze in vigore, il datore di lavoro acquista  forza-lavoro (manodopera) per combinarla nel modo più razionale possibile con del capitale fisso (macchinari per la produzione). Lo scopo consiste nel produrre merce da vendere sul mercato. La ricerca di questa razionalità spinge l’azienda ad esercitare una pressione sui costi, a ridurre i tempi morti, a limitare gli aumenti salariali, ecc., le quali possono indurre i salariati a sviluppare resistenze (Bouquin, 2008; Coutrot, 2002). In questo quadro, i conflitti prendono principalmente due forme distinte: la prima è “verticale” nella misura in cui vede i salariati opporsi alla direzione aziendale, cioè coloro che ricevono gli ordini a quelli che li danno, mentre la seconda è “orizzontale” poiché è situata in seno a un collettivo di lavoro, opponendo i colleghi dello stesso grado gerarchico (Beaud & Pialoux, 2004; Groux & Pernot, 2008).
Le interviste che abbiamo effettuato ci hanno permesso di constatare che la maggior parte dei salariati prova un sentimento di rassegnazione molto forte. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che la riorganizzazione del lavoro non è in alcun modo negoziabile per i vertici aziendali. I sindacati ufficiali del settore (Sindacato della comunicazione e Transfair) hanno sostenuto attivamente la riforma delle PTT orientata all’apertura del mercato nel settore delle poste e delle comunicazioni (Meier, 1997). Oggi non dispongono di una presenza sindacale sui luoghi di lavoro e sono tenuti al rispetto della “pace del lavoro assoluta”, la quale prevede la repressione di qualsiasi azione di sciopero e di serrata (cf. art. 85 del CCL). In questo contesto la conflittualità tende a manifestarsi nella dimensione “orizzontale” a scapito di quella “verticale” perché si manifesta sempre meno tra gli impiegati e la direzione, opponendo sempre più sovente i colleghi di un collettivo di lavoro. Assistiamo dunque all’esistenza di una vera e propria “psicologizzazione” dei rapporti sociali: i salariati considerano che all’origine delle loro sofferenze non vi è il modo in cui è organizzato il lavoro, sul quale non sono in grado di esercitare alcuna influenza, ma i colleghi per via dei loro comportamenti (Le Goff, 2000).
Nonostante ciò, l’inchiesta ha messo in luce la persistenza di forme collettive di lotta e di resistenza, come ad esempio una petizione indirizzata alla direzione del centro di distribuzione postale. I lavoratori avevano chiesto l’allontanamento di un quadro dirigente che esercitava  pressioni sugli impiegati assenti per malattia o dispensati da certe attività per ragioni mediche. La direzione ha tenuto conto di questa rivendicazione e la situazione è migliorata considerevolmente. Questo esempio mostra, da un lato, che la conflittualità è sempre presente pur faticando a trovare un’ espressione collettiva e, dall’altro, che i lavoratori desiderano essere presi in considerazione nelle scelte aziendali. Purtroppo una petizione non è sufficiente per vincere il sentimento rassegnazione molto diffuso tra il personale; per questo ci vorranno altre lotte sociali, che coinvolgano i datori di lavoro, i lavoratori e i cittadini, come lo è stato nel 2008, in occasione dello sciopero alle Officine di Bellinzona.

Perdita del senso dato al lavoro

La “clinica dell’attività” sostiene l’esistenza di un’ambiguità che caratterizza la dimensione soggettiva del rapporto di lavoro. Da un lato l’attività professionale è legata ad una costrizione esterna, cioè alla necessità di svolgere un’attività remunerata al fine di sovvenire ai propri bisogni, che è all’origine dell’alienazione del lavoro salariato. Dall’altro l’attività ha la virtù di trasformare la soggettività del lavoratore, cioè il suo modo di vivere le emozioni, sviluppare i valori etici e concepire il proprio ruolo nella società. Ciò spiega perché la realizzazione di se stessi è l’altro versante dell’attività professionale (Daviezies, 2006). Da questo punto di vista i salariati sviluppano, individualmente e collettivamente, un rapporto dinamico con il loro lavoro e una “capacità d’azione” sulla loro attività, nella misura in cui riescono a dare un senso al proprio lavoro (Clot, 2008). I risultati del questionario hanno messo in rilievo tre aspetti che permettono ai postini di trarre maggior soddisfazione dal loro mestiere: il lavoro ben fatto, la relazione con la clientela[3] e la stima dei colleghi. La degradazione delle condizioni di lavoro, i termini eccessivamente ristretti, la mancata riconoscenza dell’impegno e la paura di perdere il posto di lavoro sono invece precipiti negativamente dalla maggior parte del personale.
L’allontanamento dei postini dall’utenza, imposto dalla nuova politica aziendale, è percepita come una degradazione della qualità del lavoro svolto dai postini. Possiamo citare come esempio una direttiva che impone al personale di distribuire al portone dello stabile anziché all’entrata di ogni appartamento le lettere e i pacchi raccomandati da controfirmare, fatta eccezione per la clientela che risponde a criteri ben definiti (handicappati, invalidi, persone anziane con mobilità ridotta, clienti commerciali, ecc.). Lo scopo di questa nuova direttiva consiste a ridurre ulteriormente i tempi “improduttivi” del lavoro. Poiché i postini non distribuiscono più il corriere nello stesso quartiere, questi  sono  sempre meno in grado di identificare né gli anziani né gli handicappati. Il fatto che le persone con mobilità ridotta sono talvolta tenute a recarsi nell’ufficio postale per ritirare l’invio raccomandato è vissuto molto male dai lavoratori e provoca loro molte sofferenze.
La degradazione della qualità del servizio offerto alla clientela può generare un disorientamento psicologico per i postini che durante gli anni passati davano un senso al loro lavoro offrendo un servizio pubblico di interesse generale. Ciò spiega perché ancora oggi il personale è sensibile all’immagine veicolata dell’azienda. “Attualmente La Posta mi delude!” ci ha fatto sapere un impiegato mentre un altro ci ha detto che “il postino è un po’ la carta da visita della posta perché non ci sono mica solo i servizi finanziari”. La perdita del senso dato al lavoro comporta il rischio di compromettere la “capacità d’azione” dei salariati e, di conseguenza, il ruolo positivo che il lavoro riveste nella costruzione della propria identità.

Stato di salute dei postini

L’indagine ha permesso di raccogliere una serie di informazioni inerenti alla salute dei postini. Si tratta di dati trasversali che indicano il livello di benessere al momento dell’inchiesta, ma che trascurano le biografie mediche delle persone come pure i rischi ai quali sono state esposte in passato (Marquis, 2010). Se ciò ci ha indotto ad interpretare con prudenza i legami che vi possono essere tra lo stato di salute e le condizioni di lavoro, abbiamo tuttavia constatato che lo spostamento e il sollevamento di peso, la ripetitività dei movimenti e l’inadeguatezza degli strumenti di lavoro sono  aspetti del mestiere che i postini associano alla degradazione dello stato di salute loro o dei colleghi. Un impiegato ci ha infatti spiegato che il suo malessere “è il risultato di trent’anni di servizio perché i dolori sono apparsi per via del logoramento del mio corpo”. I problemi di salute più diffusi sono l’esaurimento fisico e psichico, i dolori alla schiena o ai lombari come pure la nervosità e l’irritabilità. Una proporzione non trascurabile del personale (circa un quinto) ne soffre tutti i giorni o quasi (cf. grafico n. 1). A ciò si deve aggiungere che circa un quarto dei postini giudica il proprio stato di salute pessimo o soddisfacente anziché buono o eccellente (cf. grafico n. 2). Questi dati costituiscono un campanello d’allarme che dovrebbe attirare l’attenzione dell’azienda, dei sindacati e delle istituzioni sulla necessità di attuare una politica di prevenzione che tenga conto dei rischi che il mestiere comporta per la salute.

Conclusione

L’analisi delle condizioni di lavoro ha permesso di stabilire l’esistenza di un malessere diffuso tra il personale del centro di distribuzione postale. Secondo la nostra ipotesi all’origine vi sono, da un lato, l’intensificazione del lavoro e, dall’altro, la degradazione della qualità del lavoro in seguito all’instaurazione di una politica commerciale a scapito delle prestazioni di servizio pubblico. Ciò comporta rischi notevoli per la salute dei salariati, i quali sono ampliati dal sentimento di non poter esercitare alcuna influenza sugli aspetti che sono all’origine di questi due fenomeni. Queste considerazioni ci inducono a considerare che una politica di prevenzione non può prescindere da due aspetti. Il primo è una maggior regolamentazione del mercato postale al fine di diminuire la pressione che la concorrenza esercita sull’azienda e sulle condizioni di lavoro. Il secondo consiste nel promovimento di un’attività sindacale che permetta ai lavoratori di agire sulle caratteristiche dell’organizzazione del lavoro che comportano rischi per la loro salute.

Bibliografia

Beaud, S., & Pialoux, M. (2004). Retour sur la condition ouvrière : enquête aux usines Peugeot de Sochaux-Montbéliard. Paris: Fayard.
Bouquin, S. (2008). Résistances au travail. Paris: Syllepse.
Clot, Y. (2008). Le travail sans l’homme? Pour une psychologie des milieux de travail et de vie. Paris: La découverte.
Coutrot, T. (2002). Critique de l’organisation du travail. Paris: La Découverte.
Daviezies, P. (2006). Activité, subjectivité, santé. Recuperato da http://philippe.davezies.free.fr
De Gaulejac, V. (2005). La société malade de la gestion : idéologie gestionnaire, pouvoir managérial et harcèlement social. Paris: Seuil.
Durand, J. (2004). la chaîne invisible. Travailler aujourd’hui : flux tendu et servitude volontaire. Paris: Seuil.
Groux, G., & Pernot, J. (2008). La grève. Paris: Presses de Sciences Po.
Le Goff, J.-P. (2000). Les illusions du management : pour le retour du bon sens. Paris: La découverte.
Linhart, D. (2004). La modernisation des entreprises. Paris: La découverte.
Marquis, J.-F. (2010). Conditions de travail, chômage et santé. La situation en Suisse à la lumière de l’enquête suisse sur la santé 2007. Lausanne: Page deux.
Meier, M. (1997). Oui à la réforme des PTT! : contester? non! co-aménager. Berne: Union syndicale suisse.
Thébaud-Mony, A. (2007). Travailler peut nuire gravement à votre santé. Sous-traitance des risques, mise en danger d’autrui, atteintes à la dignité, violences physiques et morales, cancers professionnels. Paris: La découverte.


1
L’inchiesta si è svolta nell’ambito di una tesi di master in socio-economia realizzata all’Università di Ginevra.
2
Breve cronologia della liberalizzazione dei servizi postali
1987 : annuncio di mutazioni strutturali importanti in seno all’azienda delle PTT1991 : pubblicazione di due « libri bianchi » con un programma politico neo-liberista da parte degli ambienti economici
1991 : inizio della ristrutturazione delle PTT sotto l’egida di Jean-Noël Rey (membro influente del PSS)
1992 :pubblicazione di un programma di liberalizzazione dei servizi postali da parte della Commissione europea
1995 : pubblicazione di un nuovo « libro bianco » da parte dell’Unione svizzera del commercio e dell’industria
1996 :le camere federali approvano le nuove leggi sulla posta e le telecom
1998 : scissione delle PTT in due aziende distinte (La Posta e Swisscom)
2001 : soppressione dello statuto di funzionario e entrata in vigore del Contratto collettivo di lavoro a La Posta
2004 : soppressione del monopolio nel settore pacchi
2006 : riduzione del monopolio a 100g nel settore lettere
2009 : riduzione del monopolio a 50g nel settore lettere
2010 : revisione totale della legislazione postale (in cantiere)
3
Il termine “clientela” è correntemente utilizzato dai postini, ragion per cui il suo utilizzo ci pare preferibile rispetto a quello di “utenza”. Ciò è legato probabilmente all’instaurazione di una relazione commerciale con i consumatori a scapito di un servizio di utilità pubblica.

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